Impianto teorico di riferimento
Nell’affrontare tematiche così complesse e delicate, come già accennato, non pochi sono stati gli interrogativi che si sono posti al gruppo di lavoro che ha promosso l’iniziativa. La scelta è stata quella di non semplificare ma, al contrario, come in una fiaba, di entrare nella “foresta” di questioni che il progetto si proponeva di affrontare. In questa prospettiva è stato d’aiuto e di ispirazione il modo attraverso il quale Italo Calvino descrive la natura delle narrazioni popolari:
“..le fiabe sono vere. Sono, prese tutte insieme, nella loro sempre ripetuta e sempre varia casistica di vicende umane, una spiegazione generale della vita, nata in tempi remoti e serbata nel lento ruminio delle coscienze contadine fino a noi; sono il catalogo dei destini che possono darsi a un uomo e a una donna, soprattutto per la parte di vita che appunto è il farsi d’un destino: la giovinezza, dalla nascita che sovente porta in sé un auspicio o una condanna, al distacco dalla casa, alle prove per diventare adulto e poi maturo, per confermarsi come essere umano. E in questo sommario disegno, tutto: la drastica divisione dei viventi in re e poveri, ma la loro parità sostanziale; la persecuzione dell’innocente e il suo riscatto come termini d’una dialettica interna ad ogni vita; l’amore incontrato prima di conoscerlo e poi subito sofferto come bene perduto; la comune sorte di soggiacere a incantesimi, cioè di essere determinato da forze complesse e sconosciute, e lo sforzo per liberarsi e autodeterminarsi inteso come un dovere elementare, insieme a quello di liberare gli altri, anzi il non potersi liberare da soli, il liberarsi liberando; la fedeltà a un impegno e la purezza di cuore come virtù basilari che portano alla salvezza e al trionfo; la bellezza come segno di grazia, ma che può essere nascosta sotto spoglie d’umile bruttezza come un corpo di rana; e soprattutto la sostanza unitaria del tutto, uomini bestie piante cose, l’infinita possibilità di metamorfosi di ciò che esiste” 1. |
Le fiabe intese dunque non come rappresentazione semplificata della realtà ma come coinvolgente punto di convergenza metaforica tra simboli, diversità, aspettative sociali, biografie e destini di tutti gli esseri umani. Questo stimolo ha aiutato a considerare le molteplici dimensioni della narrazione come contesto ideale per accogliere una riflessione di carattere pedagogico e tradurla in un’azione che potesse assumere un senso, non solo per i bambini e le bambine coinvolte ma anche per le persone adulte comprese quelle che in prima persona hanno condotto il progetto. Allo stesso tempo, la scelta della complessità è apparsa come l’unica possibile per dotare di ricchezza e significato un percorso educativo utile a proporre temi fondamentali come quelli affrontati senza banalizzare questioni ancora largamente irrisolte nel mondo degli adulti.
La necessità di definire e tradurre concetti e metterli in relazione per poi condividerli con persone di età compresa tra i 5 e i 7 anni si è quindi posta come straordinaria opportunità per rileggere questioni importanti troppo spesso considerate come scontate anche dalle più avanzate prospettive critiche sugli argomenti trattati. L’attenzione alle diversità, la discriminazione, gli stereotipi e poi l’utilizzo della metafora a suggerire le svariate possibilità interpretative oltre rigidi codici disciplinari si sono dunque poste come dimensioni che richiedevano di essere osservate ed esplorate “nuovamente”, per poter condividere con bambini, bambine, insegnanti e genitori possibili e significative prospettive altre rispetto a quelle consuete.
Forse suggestionati dalla portata fantastica evocata dalle fiabe, il lavoro si è progressivamente configurato come una sorta di mappa tesa a tracciare un possibile contesto di riferimento che potesse rendersi utile nell’orientare l’interazione con i bambini e le bambine, affiancando anche il rapporto informativo e formativo con i loro principali adulti di riferimento.
Consapevoli del limite strutturale imposto dai tempi e dalle modalità di realizzazione del progetto così come dalle infinite possibilità di approfondimento multidisciplinare su tutti gli argomenti trattati, l’iniziativa ha generato dunque una possibile mappa per orientare le diverse attività previste dall’iniziativa. Come ogni mappa è sempre diversa dal territorio che vorrebbe rappresentare2, l’ambizione non è stata quella di esaurire gli argomenti trattati o definire un modello univoco bensì quella di fornire una possibile traccia per suggerire percorsi che potranno via via essere modificati e migliorati attraverso l’esperienza e lo sguardo di chiunque si appresti ad affrontare i sentieri, i problemi e le sfide proposti dagli argomenti trattati nell’intento di tradurli in prassi pedagogica.
Intento e azione educativa
Le questioni trattate sono strutturalmente legate a una coinvolgente intenzione educativa e auto-educativa delle bambine e dei bambini così come degli adulti
La necessità di configurare un percorso formativo sugli argomenti trattati non ha semplicemente rappresentato il risvolto strumentale di un’iniziativa votata a proporre ai bambini e alle bambine in termini didattici questioni già esplorate e definite.
Nel corso del lavoro di analisi ed elaborazione infatti si è reso sempre più evidente come le questioni affrontate dovessero essere lette attraverso una lente di carattere pedagogico capace di rilevare una serie di problemi che ci riguardano direttamente, evocando con urgenza un’elaborazione e un’efficace azione educativa e formativa.
Come sarebbe stato possibile, senza ricorrere a narrative fittizie (non fiabe), proporre a un pubblico di questa fascia di età criteri su cosa è giusto e cosa è sbagliato, in merito alle questioni legate alla discriminazione di genere, senza la constatazione che nella realtà contemporanea gli intendimenti dichiarati dagli adulti sulle tematiche trattate sono assolutamente divergenti dalla realtà dei fatti reali? Una realtà di diseguaglianza che coinvolge strutturalmente tutte le dimensioni del vivere sociale, dell’economia, della nostra storia e con esse le nostre personali storie di vita. Questa semplice constatazione ha condotto a pensare al lavoro come possibilità per ribadire la vocazione ontologica dell’intenzione pedagogica che andava adottata, al di là del nostro breve progetto, nell’affrontare queste tematiche.
In questo senso possiamo dire che affrontare le diversità e la discriminazione di genere ha costituito una sfida non solo nel realizzare un percorso utile ai bambini e alle bambine ma, semmai, nel ribadire un processo pedagogico capace di proporre un sostanziale coinvolgimento civile, culturale ed etico rivolto a tutti gli adulti che si pongono di fronte a questi temi e alle problematiche che ne derivano, dalle pari opportunità alla violenza di genere.
Se da un lato dunque vogliamo intendere la pedagogia come la disciplina relativa alle istanze educative, consideriamo altresì che le tematiche in questione costituiscono il cuore del problema educativo, sottolineando come senza questo cruciale riconoscimento venga a mancare il motivo stesso per proporre ai bambini attività di tale natura.
La scelta è stata dunque quella di concepire l’azione realizzata come la condivisione con i bambini e le bambine di una serie di problemi che riguarda tutti e dunque un’esplorazione congiunta di possibili percorsi per leggerla e interagire con essa evitando risposte precostituite.
Questa stessa condivisione da predisporre in termini semplici, sensibili, graduali e rispettosi della diversità (considerando variabili di fascia di età e contesto di provenienza), costituisce la dimensione centrale del progetto che assume valori di inclusività e di problematizzazione degli stereotipi sia di genere che relativi all’asimmetrico rapporto tra mondo dell’infanzia e mondo adulto. In generale, l’approccio ha inteso evitare di riprodurre la cronica ipocrisia e la strumentalità che spesso caratterizza il rapporto tra questi due mondi.
Considerati i suddetti elementi possiamo affermare che l’intenzione e l’azione educativa in rapporto ai temi trattati risultino essere consustanziali. Nelle sezioni a seguire verranno illustrate le modalità attraverso le quali il progetto ha tradotto gli orientamenti descritti in specifiche modalità operative.
Fiabe e narrazioni
La narrazione di sé incontra le narrazioni tradizionali per interpretare il mondo tra storia individuale e storia collettiva.
Abbiamo già menzionato come la proposta “olistica” di Calvino ci abbia sollecitato a considerare le fiabe in modo aperto e propositivo rispetto alle tante possibili suggestioni che da esse possono derivare. Se è vero che nelle fiabe è possibile riconoscere elementi di discriminazione di genere e di altro tipo è altrettanto vero che in esse possano essere colte occasioni di riflessione di svariata natura utili a sollecitare una considerazione sul superamento degli stessi e sulle pari opportunità e l’inclusione.
In questa prospettiva, e certamente nella consapevolezza delle molteplici teorie che analizzano proficuamente diversi aspetti della narrazione popolare, il progetto ha preferito cogliere nelle fiabe l’opportunità di parlare con i bambini e le bambine di temi fondamentali che predisponessero ad avvicinarsi gradualmente e sensibilmente a comprendere diverse variabili attinenti agli obiettivi del progetto, senza rinunciare alla dimensione fantastica e magica propria di molte narrazioni.
E’ certamente vero che le fiabe predispongono la possibilità di parlare con bambine e bambini di situazioni e casi che non sarebbero affrontabili in forma diretta (si pensi ad esempio all’abbandono da parte dei genitori, alla violenza famigliare, all’imposizione del matrimonio, al potere adulto fino ad arrivare alla violenza e al femminicidio). E’ questo stesso tipo di caratteristica che consente una relazione dei bambini con la fiaba che lascia ampi spazi per poter esercitare una propria implicita o esplicita narrazione consentendo una libertà significativa del confronto dialettico e filosofico anche con gli adulti. La dimensione metaforica aiuta a determinare spazi terzi per l’interpretazione, il riconoscimento, l’identificazione o il distanziamento che, se gestiti con sensibilità e attenzione alla pluridimensionalità dei processi di apprendimento, possono determinare significativi contesti educativi.
Nelle articolazioni del progetto se ne è realizzata esperienza diretta attraverso drammatizzazioni e disegno, nel vestire i panni dell’altro o dell’altra, aiutati dalla sollecitazione fantastica determinata dal racconto, modificando in modo naturale anche gli elementi e gli esiti proposti dal testo originale.
E’ stato dunque assunto come elemento metodologico importante non tanto processare una fiaba per raccontarne un’altra, quanto piuttosto per aprire delicatamente le maglie della fiaba affinché potessero derivare nuove possibilità e nuove narrazioni.
Per mantenere viva questa possibilità l’attività ha predisposto un racconto fantastico che racchiudesse metaforicamente i temi di base che si volevano condividere con i bambini e le bambine nell’esplorare le diverse fiabe della tradizione. Questa scelta è conseguita dal tentativo di non opporre al mondo della fiaba una logica “realistica” per interpretarla o codificarla ma di costruire un’ulteriore metafora che consentisse loro di permanere nel luogo suggestivo e stimolante della narrazione senza imporre messaggi precostituiti nel rapporto dialogico che si andava a sviluppare nel corso delle sessioni.
Se nell’ambito del progetto la metodologia ha deciso di utilizzare le fiabe classiche della tradizione nella loro forma originale, molto spesso radicalmente diversa dalla versione conosciuta dai bambini nelle loro traduzioni filmiche e televisive, la considerazione è stata quella di fornire un approccio che può essere utilizzato per interagire con i bambini anche su altri tipi di narrazione. Pur non avendo sperimentato direttamente la metodologia utilizzata, che sarà ampiamente descritta nelle sezioni successive, la stessa è stata predisposta in modo tale da poter essere utilizzata anche per altri tipi di narrazione.
Piccola biografia della fiabaAll'inizio, fratelli maggiori delle fiabe devono essere stati i miti: le grandi invenzioni collettive che servivano a dare senso e ordine alle cose terribili e incomprensibili che accadevano attorno agli essere umani nel mondo. E poi i riti di passaggio: le soglie obbligate attraverso cui diventare compiutamente uomini e donne, guerrieri o cacciatori. E i rituali per propiziare caccia e raccolti, per favorire buone nascite e guarigioni. Fin dall'inizio gli esseri umani sembrano cercare un dialogo stretto con il mistero, con quell' altro mondo lontano, agganciando la loro condizione di paura, dolore, morte e fame ad interlocutori invisibili, potenti, buoni e cattivi, misteriosi, ma in grado in qualche modo di ascoltare e di aiutare. Alle forze della natura, ad altri esseri viventi, alle rocce, al mare, al fulmine, agli astri... Le storie che nel tempo la gente semplice continua a raccontare a voce, ad ascoltare, a tramandare, contengono tracce di quel dialogo: fra il qui e il possibile immaginato. In tutto il mondo, in tutti i tempi, là dove gruppi di persone si riuniscono - la notte forse o nei momenti di inattività forzata - qualcuno inizia a raccontare quello che a sua volta ha sentito raccontare e che ricorda: gli altri ascoltano e "vedono" quello che non c'è, ma che potrebbe esserci. Serve ad insegnare, a tramandare informazioni e conoscenze, ad intimidire, a mettere in guardia, a consolare... (Levi-Strauss) E' un bisogno profondo. Dai ghiacci della Groenlandia alle foreste tropicali, ai deserti, alle montagne. E i luoghi diversi generano storie diverse, intrise del clima, del paesaggio, delle condizioni materiali e organizzazioni sociali, ma tutte in fondo parlano delle stesse cose che riguardano gli esseri umani e dei loro bisogni e desideri: nascere, avere paura, aver fame, cercare riparo, esplorare il mondo, accoppiarsi, invecchiare, morire... subire ingiustizia, essere disprezzati, vincere, essere abbandonati, cercare aiuto, aiutare. Veder trionfare il bene sul male, alla fine, dopo tante peripezie. Perché, ad un certo punto della storia umana, le narrazioni non servono più a dialogare con le forze misteriose e lontane che governano i destini umani, servono piuttosto a soddisfare l'insopprimibile e universale bisogno-piacere di ascoltare storie, vere o inventate, di raccontarle, di ascoltarle ancora. I protagonisti, le protagoniste di queste storie somigliano a ciascuno di noi e le loro vicende ricalcano le vicende che ci addolorano o ci fanno paura, o quelle che vorremmo poter vivere. Se la storia finisce bene, grazie ai più impensabili interventi magici ed aiuti, allora le fiabe diventano un conforto, un invito a sperare, ad immaginare che le cose possono sempre cambiare se siamo puri e bravi, furbi, generosi, audaci, pietosi, fortunati... Nascendo in una cultura largamente e lungamente patriarcale, non stupisce che le fiabe trasmettano precise gerarchie di valore, rispetto a maschi e femmine, ricchi e poveri, adulti e giovani. Ma, attenzione, le stesse fiabe contrappongono esseri fragili, fanciulle e fanciulli alla soglia dell'età adulta e in difficoltà, poveri orfani, principesse cadute in disgrazia e perseguitate, esseri umani troppo piccoli o segnati dalla diversità, ad adulti potenti, distratti e spesso cattivi. E sempre, alla fine delle storie, i "piccoli" o le "piccole" vengono finalmente riconosciuti nel loro valore, diventando grandi e trionfando attraverso l'azione di una fata, di un animale magico, di un fratello o sorella, di un principe o di una principessa... Ed è facile immaginare che nel tempo fossero soprattutto le donne anziane a svolgere questo ruolo di memoria collettiva e di narratrici orali. Perché narrare non è ripetere: è un'arte difficile, da sempre riconosciuta (si pensi a Shahrazad). Ci vuole esperienza di vita, memoria, sguardo aperto sul mondo, un patrimonio di parole, capacità visionaria, empatia con chi ascolta e la capacità di godere ogni volta del proprio racconto. Ogni narratore/narratrice pur attenendosi alla tradizione e alla versione che conosceva perché l'aveva ascoltata tante e tante volte, non poteva fare a meno di lasciare la sua impronta personale: di calcare cioè su quegli aspetti che più stavano a cuore e di tralasciare o sfumare le cose che interessavano di meno o che facevano paura e imbarazzo. Ogni narratore tira la fiaba dalla sua parte, anche in buona fede e la intride della propria poetica e della propria visione del mondo. Ogni versione della stessa fiaba rispecchia inevitabilmente le persone che l'hanno raccontata e il loro mondo intorno. Questo è un aspetto molto importante. Infatti, senza giudizi o condanne, possiamo leggere (e insegnare ai bambini a leggere) le varianti, le censure, gli insegnamenti moralistici, gli stereotipi di genere, come segni significativi: specchio dei tempi, dei gruppi sociali, delle culture attraverso cui le fiabe sono passate, trasformandosi e continuando a trasformarsi. Darci strumenti per contestualizzare le diverse narrazioni, lasciando però ai bambini (e agli adulti) tutto il tempo necessario per "caderci" dentro, nelle storie, per poter vivere le vicende assieme ai personaggi, immedesimandosi in loro: questa è la grande scuola di empatia e apertura mentale che narrazioni e letteratura offrono agli umani. In Europa, dalla metà del '600, nelle corti e nei salotti delle classi agiate nasce (rinasce) la moda del raccontare e ascoltare storie nate nel popolo (niente di nuovo, se si pensa a Boccaccio che si ispira a temi popolari per scrivere il suo originalissimo e coltissimo Decamerone). Le storie vengono ascoltate e raccolte nelle versioni popolari e orali, ma poi scritte, reiventate e adattate di volta in volta allo spirito dei tempi, all'auditorio diversamente colto, a situazioni mondane e leggere, oppure familiari ed educative (Basile, Perrault, Madame d'Aulnoy, ecc.). Le fiabe servono ancora a divertire e svagare gli uditori, ma di volta in volta si piegano a fini diversi (dalla provocazione erotica e cortigiana all'intenzione pedagogica, morale o addirittura religiosa). I fratelli Grimm che a metà dell'ottocento in Germania raccolgono, confrontano, trascrivono e riscrivono il grande corpus delle fiabe orali giunto fino a loro, hanno un obiettivo politico: riaffermare il valore della tradizione popolare germanica come identità fondativa, contro il classicismo imperante nella cultura europea del tempo (Napoleone). Nelle loro trascrizioni non vi è una morale esplicita come in quelle di Perrault, bastano i fatti: chi è stato maltrattato perché giovane, donna, ingenuo... se si comporta bene, se ha coraggio, è sincero e generoso o solo fortunato, sarà alla fine premiato e sarà punito l'antagonista che di volta in volta ha rappresentato il male e il male agire. E in quest'epoca nasce e si affina il concetto di infanzia come età specifica dell'esistenza umana (Aries ) e le trascrizioni e le pubblicazioni delle fiabe che prima erano destinate a tutte le età vengono sempre più spesso dedicate ai bambini e alle bambine con intenti educativi, morali, di intrattenimento. Nello stesso periodo, nei vari paesi europei, con impostazioni e riferimenti teorici differenti, le fiabe diventano oggetto di studio specifico da parte di letterati antropologi, studiosi del folklore e linguisti. Dai loro studi e dalla comparazione con le credenze e pratiche dei popoli primitivi ancora esistenti nel mondo, derivano le ipotesi che collegano le fiabe alle grandi narrazioni mitiche del passato pre-storico (Levi strauss, Freser, Cocchiara). Con Freud, Jung e le varie scuole derivate nasce e si intensifica lo studio della relazione fra contenuti fiabeschi e cotenuti psicologici, evidenziando la complessità e il valore delle informazioni che miti e fiabe continuano a fornire sui comportamenti umani: dalle analisi di Marie Louise von Franz ( in particolare: Il femminile nella fiaba) fino al Mondo Incantato di Bruno Bettelheim, alla nostra Cristina Campo (Belinda e il mostro , Gli imperdonabili), alle più attuali e controverse riletture in chiave femminista delle fiabe. Già dai primi anni del '900, in Unione Sovietica, V.J.Propp definisce, due aspetti utili ancora oggi per un approccio corretto al mondo delle fiabe: • sono fiabe quelle narrazioni popolari che intrecciano mondi reali con aspetti magici e fantastici e presentano, pur in infinite variazioni, alcune funzioni (tappe, personaggi, snodi narrativi ) sempre presenti e necessarie allo svolgimento efficace della storia: (vedi Morfologia della fiaba) In Italia, ad esempio, durante il fascismo, la fiaba libertaria e moderna di Pinocchio viene usata a fini propagandistici e Pinocchio diventa un piccolo balilla solerte. Mentre dopo la guerra la stessa storia di Pinocchio sarà reinterpretata in chiave di morale cattolica e diffusa a libretti per la campagna elettorale di un partito politico. Più o meno negli stessi anni, però, Italo Calvino, compie l'impresa meravigliosa, intrecciando rigore di studioso e libertà poetica: riunisce e analizza lo smisurato corpus delle fiabe tradizionali delle regioni italiane (compresa la Corsica), le suddivide per famiglie e gruppi tematici, sceglie fra le infinite versioni le più significative, le sfronda e riscrive in una lingua nuova, allo stesso tempo fedele ai dialetti ma attuale e universale. Fece qualcosa di simile a quello che fecero i fratelli Grimm. Calvino alla fine della stesura de Le fiabe italiane confessa che mai avrebbe immaginato, all'inizio dell'impresa, di poter trovare tanta ricchezza e universalità di temi, complessità e mistero. "...non solo a vendere e comprare si viene a Eufemia, ma anche perché la notte accanto ai fuochi, tutto intorno al mercato...ad ogni parola che uno dice -come lupo, sorella, tesoro nascosto, battagli, scabbia, amanti- gli altri raccontano ognuno la sua storia di lupi, di sorelle, di tesori, di scabbia, di amanti, di battaglie. E tu sai che nel lungo viaggio che ti attende, quando al dondolio del cammello o della giunca ci si mette a ripensare ai tutti i propri ricordi, ad uno ad uno, il tuo lupo sarà diventato un altro lupo, tua sorella una sorella diversa, a tua battaglia altre battaglie, al ritorno da Eufemia, la città in cui ci si scambia la memoria ad ogni solstizio e ad ogni equinozio." I. Calvino, Le città invisibili. Accanto a Calvino e più o meno negli stessi anni, Gianni Rodari sarà in Italia il più geniale studioso e innovatore della letteratura per l'infanzia, anche se spesso e a torto verrà considerato critico verso le fiabe della tradizione. Al contrario, attraverso una conoscenza vastissima della letteratura tradizionale, Rodari si ispira e innova le basi profonde della narrazione fiabesca, provando a interpretarle alla luce del nuovo quadro politico, culturale, sociale e ambientale in cui si trovano a vivere i bambini e le bambine del tuo tempo. In un articolo del '70, "Pro e contro la fiaba", ad esempio, fa un'analisi approfondita della storia di Pollicino e indica la fiaba in generale come "deposito stratificato di più culture, un archivio in cui il tempo ha depositato le sue pratiche, evase in spazi lontanissimi tra di loro...". Già dagli anni Cinquanta, ben prima delle rivendicazioni del '68 e del nuovo movimento femminista, Rodari centra il suo lavoro di giornalista e scrittore per bambini sui valori democratici che si andavano affermando, sull'universalità dei diritti e in particolare sulla necessità di cambiare radicalmente la posizione della donna nella famiglia e nella società e considera l'incontro dell'infanzia con la fiaba un'esperienza assai complessa e preziosa: "La fiaba è pronta per darci una mano ad immaginare il futuro che altri vorrebbero semplicemente farci subire". Intanto, al di là dell' oceano, prima, durante e dopo la seconda guerra mondiale, Walt Disney, mentre inventa e cresce personaggi destinati all'immortalità come Topolino, Paperino e soci, sceglie per i suoi lungometraggi di animazione alcune fiabe della tradizione europea (Biancaneve, Pinocchio, Cenerentola, Peter Pan, Alice.....) e con il pragmatismo americano che lo caratterizza, le rielabora, le modifica, dona loro immagini di indimenticabile bellezza e poesia, ma inevitabilmente le rilegge attraverso le lenti della borghesia bianca, classista, maschilista e moralista americana del suo tempo. I film traboccano di buoni sentimenti e anche di buon umore e ironia, ma sui ruoli delle ragazze e dei ragazzi non sembrano esservi dubbi, fino al punto di "forzare" in senso maschilista aspetti nodali delle fiabe già sufficientemente caratterizzate. (Vedi J.Zipes) Così si va avanti, ma fino ad un certo punto, perché le idee nuove nate dal '68 e soprattutto dal nuovo femminismo non si possono ignorare se si vuole stare al passo con i tempi: se la Sirenetta resta ancora in sospeso fra le due visioni del mondo, molti dei successivi film della Disney e associati (Mulan, Pocahontas, Belle, Rapunzel, Frozen, La principessa e il ranocchio) cominciano a descrivere, a volte attraverso nuovi stereotipi, ragazze sveglie, attive, emancipate e ben intenzionate a tenere nelle mani la loro vita... Però, attenzione, restano sempre tutte bellissime; e qui sarebbe utile un raffronto con altre eroine più "normali", per esempio le ragazzine dei film del grandissimo giapponese Miyazaki: una per tutte la protagonista de il Castello errante... ridotta da un sortilegio e per tutta la durata della storia a vecchina assai poco avvenente. Inoltre, in parallelo ai film con eroine "positive", la Disney e le varie derivazioni societarie collegate, sfornano altrettanti film dedicati ai "maschietti" tipo Toy story, Cars ... praticando apparentemente una sorta di specializzazione per genere che bambini e bambine colgono perfettamente e che lascia perplessi. In questa veloce biografia della fiaba non si è potuto dare spazio alla storia delle illustrazioni dei libri di fiabe e ai relativi illustratori e illustratrici che rappresentano, accanto ai contenuti testuali, uno sterminato mondo a sé, colmo delle evoluzioni, involuzioni e intuizioni geniali di chi si è rivolto e si rivolge ai bambini raccontando le fiabe attraverso le immagini. Dice Walter Benjamin, parlando delle illustrazioni nei libri per i più piccoli, "...infatti, non sono tanto le cose a farsi incontro -fuoriuscendo dalle pagine- al bambino fantasticamente alle prese con le immagini, ma è piuttosto il bambino stesso che -guardando- penetra in esse...di fronte al suo libro illustrato egli realizza la tecnica del perfetto taoista: domina l'illusoria superficie e ...calca la scena dove vive la fiaba." Questo mondo delle immagini di adulti che hanno illustrato le fiabe -molte volte in maniera fantastica- andrebbe considerato attentamente, magari assieme agli stessi bambini, soprattutto per quanto riguarda gli stereotipi in generale ed a quelli di genere in particolare: si pensi, per fare solo un esempio, che il principe delle fiabe -ma anche il compagno ideale nella vita di una ragazza- viene chiamato "principe azzurro", dal colore del mantello con cui è stato (quasi) sempre rappresentato. Si è dato, invece, spazio al racconto delle produzioni Disney e in generale alle trasposizioni delle fiabe in cinema di animazione (si pensi alla smisurata produzione nipponica, ben nota anche in Europa: da Lady Oscar ad Heidi ai Pokemon e Naruto .. ): per la loro straordinaria potenza ed efficacia comunicativa e per la diffusione globalizzata, sono queste le icone che -dagli anni 50 in poi- costituiscono l'immaginario fiabesco condiviso dalla maggior parte dei bambini e delle bambine in Italia e nel mondo. Negli ultimi cinquant'anni, con il diffondersi di riferimenti culturali e valoriali nuovi, nelle famiglie e nelle scuole, le fiabe della tradizione sono cadute in disgrazia, magari dopo giudizi sommari non molto approfonditi, e spesso sono state messe da parte proprio a causa dei messaggi reazionari e stereotipati di cui si erano appesantite nel tempo. Nel frattempo sono nate ovunque nuove narrazioni fiabesche, più attente agli aspetti sociali, ai diritti universali e alla parità di genere: narrazioni a volte molto efficaci, spesso però gravate da nuove forme di conformismo e noiosa prevedibilità. In realtà le vecchie fiabe sono state conservate, ma "a lato", riservate a fasce sempre più precoci di età, nelle prime versioni, nei "cartoni animati" o in versioni attualizzate, quasi che nessuno se la sia sentita di privare completamente i piccoli dei cappuccetti rossi, dei lupi, dei porcellini, delle principesse, degli orchi e delle fate, insomma, di buttare via tutto il ciarpame assieme ai contenuti preziosi e segreti. I nuovi e nuovissimi media, inoltre, stanno rendendo residuale la pratica della narrazione dal vivo da parte di adulti, familiari, educatori e narratori teatrali mentre le versioni originali delle fiabe, con le loro buone ragioni e caratteristiche peculiari, rischiano di restare relegate in libri, immagini e ambiti specialistici, accessibili solo ad un esiguo numero di adulti. Da questo scenario non facile, che piaccia o meno, occorre partire, se si vuole seriamente dialogare con bambine e bambini, con ragazze e ragazzi di oggi su fiabe e immagini fiabesche, sui messaggi deleteri in esse contenuti e su quelli utili ancora oggi, usando pazienza da investigatori, conoscenze precise e adeguati strumenti di lettura per entrare ben attrezzati in questa misteriosa foresta fatata. |
La biografia
Il rapporto sensibile con la storia diversa di ogni persona diventa strumento di comprensione della realtà e di accesso alla complessità del mondo
È possibile comprendere e interagire con o sui fenomeni di discriminazione senza considerare ciò che di questa discriminazione abbiamo direttamente agito o subito nelle nostre storie di vita? Questo l’interrogativo che ha orientato il dialogo con gli insegnanti nella fase preliminare del lavoro. Le fiabe, come luogo di possibile riconoscimento esplicito, implicito o simbolico sono così diventate un contesto particolarmente suggestivo per esplorare e riconoscere tratti della propria storia biografica e della propria narrazione, aiutati dalla sensibilità della dimensione metaforica.
Sin dalle prime fasi del progetto abbiamo ritenuto indispensabile affrontare le questioni relative alla discriminazione di genere come qualcosa che fosse strettamente connesso con la biografia di ogni persona ma anche con una biografia di carattere collettivo.
In questa prospettiva, oltre a considerare come la relazione tra gli argomenti trattati e la propria esperienza individuale corrispondesse ad una possibilità di “comprensione” più estesa e significativa, ci è risultato chiaro che, nel rapporto con i bambini e le bambine, le possibili proposte dirette o indirette sui temi trattati dovessero sempre considerare sensibilmente e implicitamente le loro particolari e uniche storia di vita. In altre parole, non ci è apparso possibile proporre una logica di ciò che può essere “giusto o sbagliato” se non nella adattabilità che un qualsiasi messaggio condiviso poteva acquisire in relazione ai contesti biografici e di provenienza dei bambini con i quali certamente non avremmo potuto interagire in forma diretta.
Ancora una volta la dimensione metaforica ci ha consentito di sviluppare sensibilmente contesti “terzi” che proponevano una potenzialità educativa che poteva essere vissuta e condivisa da bambine e bambini nella misura in cui il proprio contesto biografico-sociale-culturale lo rendeva possibile.
Abbiamo assunto la dimensione biografica come presupposto essenziale e garanzia per consentire ai bambini e alle bambine di partecipare attivamente nella costruzione dell’esperienza. In forma speculare, il presupposto biografico ci ha aiutato a favorire un coinvolgimento degli adulti (operatori e insegnanti) capace di trascendere un’intenzione semplicemente didattica per entrare in una dimensione interlocutoria, interrogativa, auto-educativa e circolare che ci è sembrata essenziale per instaurare una sincera e proficua relazione con persone di età tra i 5 e i 7 anni.
Gli stereotipi
I pregiudizi manifestano relazioni di potere e subalternità ma si costituiscono come oggetti e materiali particolarmente significativi dell’azione pedagogica
Se da un lato possiamo considerare l’utilizzo degli stereotipi come una dimensione costante del nostro modo di pensare che necessariamente utilizza categorie precostituite non necessariamente fondate, il problema pedagogico che ci siamo posti è stato quello di considerare quali possano essere i meccanismi attraverso i quali si possa rendere possibile una flessibilità e un’apertura del nostro giudizio o pregiudizio nei confronti della realtà circostante. La scelta è stata dunque quella di non “demonizzare” lo stereotipo ma semmai di capirne la natura così da depotenziarne la rigidità e l’inadeguatezza con particolare attenzione agli stereotipi di genere.
Abbiamo dunque considerato lo stereotipo come una narrazione collettiva in stretta relazione con dinamiche culturali spesso tese a consolidare rapporti di potere e di subalternità. In questa prospettiva lo stereotipo non può che essere determinato da condizioni e fatti reali che attraverso di esso tendono a consolidarsi nel pensiero comune e a ribadire e, nel contempo a rinforzare le stesse condizioni che lo hanno determinato.
Nel ragionamento realizzato per predisporre il paradigma pedagogico di riferimento abbiamo constatato come, nel caso della discriminazione di genere, gli stereotipi presentati nelle fiabe corrispondessero storicamente a condizioni fattuali nella relazione tra i sessi e di come molte di queste condizioni insieme agli stereotipi che le descrivono fossero tuttora presenti nel contesto contemporaneo. Se nella fiaba di Biancaneve la ragazza è limitata da lavori di carattere domestico è evidente come questa circostanza costringa e limiti le opportunità di molte donne anche nella realtà di oggi. Questa constatazione induce a considerare lo stereotipo non come narrazione fittizia ma come dispositivo narrativo strutturale e radicato che determina i rapporti di potere tra i generi.
Abbiamo poi considerato come fosse importante non opporre allo stereotipo un’altra verità precostituita ma invece come fosse opportuno, dal punto di vista educativo, tentare una possibile destrutturazione del pensiero pregiudizievole attraverso un’esperienza capace di depotenziarne la narrazione aprendo le maglie ad altre possibilità.
Va anche sottolineato come nelle fiabe classiche, a differenza delle versioni più diffuse e conosciute nell’infanzia, riprodotte e interpretate con fini più commerciali, gli stereotipi vengano applicati certamente ma non esauriscano la vasta gamma di potenzialità e facoltà attribuibili a un sesso o all’altro nell’ambito delle diverse narrazioni. Troviamo infatti nelle narrazioni popolari personaggi maschili e/o femminili che manifestano diversi tipi di capacità non necessariamente attribuiti al genere di appartenenza. Basti pensare alla capacità risolutiva di Gretel, sorella di Hansel, nella fiaba che li vede protagonisti.
Nella complessità di fattori proposti dalle fiabe ci è sembrato importante dunque non concentrarsi tanto sui più evidenti stereotipi proposti all’interno della narrazione ma, semmai, sulle condizioni che rendono possibile il loro superamento; per esempio, in Biancaneve le sue possibilità nel realizzare non necessariamente le azioni attribuibili ai personaggi maschili della fiaba, ma iniziative che potessero espandere la gamma delle sue opportunità, nella considerazione che ogni individuo, maschio o femmina che sia, può esprimere la sua identità individuale nel momento in cui incontra le opportunità occasioni che consentono tale libertà.
Il tentativo, dal punto di vista pedagogico, è stato quello di uscire, aiutati dalla dimensione metaforica, dalla rigida opposizione binaria maschio-femmina, insieme a tutto il portato di ruoli e funzioni attribuibili all’uno o all’altra, per accedere invece ad una categoria di individuo sempre capace di liberarsi o di essere liberato dallo stereotipo che ne condiziona l’esistenza.
I Diritti Umani
Il corpus dei diritti si costituisce come “logica” educativa multidisciplinare da condividere con i bambini e con gli adulti.
La dimensione di riferimento che abbiamo voluto adottare per affrontare la discriminazione di genere e le pari opportunità in una logica pedagogica è senz’altro quella del diritto. Abbiamo cioè considerato che il dettato normativo nazionale e internazionale potesse legittimamente costituire il riferimento di base per sviluppare solidamente il percorso pedagogico da proporre a bambini e insegnanti.
Per emancipare le argomentazioni relative ai temi trattati da una prospettiva “relativistica”, il riconoscimento della piena opportunità di poter esprimere la propria identità senza vincoli imposti da costrutti culturali e sociali ha visto il suo punto di partenza proprio nei principi e nelle norme derivanti dal corpus dei diritti umani, inteso come capitale culturale dell’umanità e quindi riferimento fondante per qualsiasi analisi e proposta tesa a garantire la dignità e l’ opportunità di ogni persona.
Si sono assunti i riferimenti normativi come sintesi e piattaforma per articolare una prospettiva multidisciplinare capace di tradursi in paradigma educativo. In questo senso, pur attraverso l’utilizzo del linguaggio metaforico per entrare in relazione con i bambini, l’intenzione è stata quella di affrontare la difficile emancipazione da una logica esclusivamente fondata sul riconoscimento dei bisogni alla loro connessione e interconnessione con i diritti corrispondenti, considerando le possibilità della persona come la risultante tra le prerogative riconosciute dai diritti umani e la necessità dei contesti di rendersi funzionali all’esercizio degli stessi.
Gli specifici trattati e convenzioni che declinano i principi generali della dichiarazione dei diritti dell’uomo in relazione alle questioni di genere, a partire dalla Convenzione sull'eliminazione di ogni forma di discriminazione della donna (CEDAW), insieme ad un approccio radicato nella Convenzione ONU sui Diritti dell’Infanzia e dell’Adolescenza (CRC) hanno consentito di individuare l’orizzonte valoriale della proposta attraverso traiettorie che ci siamo sentiti di poter assumere e tradurre, talvolta anche in modo esplicito, nell’esperienza con i bambini e con gli insegnanti.
Il racconto/metafora dell’”Isola delle Scimmie”, che sarà presentato in seguito, ci ha consentito di rappresentare a misura di bambino, e sensibilmente rispetto all’universo delle fiabe che andavamo ad esplorare, un mondo utopico teso a dimostrare una cultura fondata sul diritto, intesa come base della relazione tra gli individui sempre attenta a garantire le possibilità di espressione del singolo e della sua storia.
Gli indicatori EIGE, i “fattori determinanti”
La discriminazione di genere e la mancanza di pari opportunità si manifesta in modo chiaro e strutturale in tutti gli aspetti del nostro modo contemporaneo
In tema di discriminazione di genere e pari opportunità abbiamo ritenuto di estrema importanza collegare gli argomenti trattati ad una realtà di fatto ancora molto distante dal riconoscimento pieno del diritto. Pur affrontando il tema attraverso metafore e fiabe, non sarebbe stato possibile sviluppare un paradigma pedagogico senza considerare i fatti che globalmente, nel mondo, dimostrano ancora una disparità di garanzia e trattamento legato al genere.
In questa prospettiva, come già anticipato, ci è sembrato particolarmente utile nella sintesi dell’approccio utilizzare gli indicatori dell’indice EIGE che possono sostenere un’analisi fattuale complessa, utile per la formazione degli insegnanti, ma che nello stesso tempo potessero essere tradotti in ambiti e concetti condivisibili con i bambini, e utili nell’analisi congiunta delle narrazioni. Abbiamo così proposto una serie di “fattori determinanti” speculari rispetto agli indicatori di base EIGE, per affrontare con bambine e bambini tutte quelle dimensioni che rivelano gli elementi strutturali della discriminazione di genere.
Il lavoro, i soldi (che nel lavoro condotto abbiamo chiamato risorse), la conoscenza, il tempo, il potere, la salute unitamente al parametro aggiuntivo e trasversale della violenza/protezione sono dunque diventati le categorie attraversate per dare un fondamento alla proposta pedagogica e a un approccio agli stereotipi, che il quale non può che realizzarsi attraverso il riconoscimento di ciò che li ha determinati e che continua a determinarli.
L’utilizzo di questi “fattori determinanti” ha consentito di poter affrontare senza forzature, con i bambini, dei discorsi “in chiaro” che assumevano particolare significato proprio perché accompagnati dalle metafore fiabesche. Allo stesso tempo, l’utilizzo degli indicatori EIGE ha favorito la possibilità di sintesi degli argomenti trattati proponendo un’ulteriore mappa di orientamento dei complessi temi esplorati.
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1. Calvino I., Fiabe italiane – Raccolta dalla tradizione popolare durante gli ultimi cento anni e trascritte in lingua dai vari dialetti, Mondadori
2. Korzybski A. (1994), Science and sanity: an introduction to non-Aristotelian systems and general semantics (Scienza e sanità mentale: un'introduzione ai sistemi non aristotelici e alla semantica generale)
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