L’Italia ha tra i suoi valori costituzionali l’uguaglianza di tutti i cittadini e le cittadine «senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali»1 così come l’accesso alle pari opportunità e la possibilità di piena partecipazione alla vita politica, sociale ed economica del paese. Il quadro normativo italiano sull'uguaglianza di genere è rappresentato dal Codice nazionale delle pari opportunità tra donne e uomini approvato nel 20062. Nel 2020 il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali ha adottato “ll Piano Triennale di azioni positive” che individua misure specifiche per eliminare forme di discriminazione eventualmente rilevate in alcuni ambiti. Tra gli obiettivi c’è quello di garantire pari opportunità nell'accesso al lavoro, nella progressione di carriera lavorativa e nella formazione professionale così come una migliore organizzazione del lavoro che favorisca l’equilibrio tra tempi di lavoro e vita privata e più in generale una cultura volta al rispetto del principio di non discriminazione tra i generi.
Nonostante i molti progressi avvenuti dal punto di vista dell’uguaglianza di genere nella normativa e nelle politiche, persistono tuttavia ancora una serie di gravi criticità, dal punto di vista delle infrastrutture e dei meccanismi volti all’attuazione di una piena parità di trattamento di tutte le cittadine e i cittadini. Il Global Gender Gap Report3, che considera come parametri di riferimento le opportunità di partecipazione alla vita economica, l’istruzione, la dimensione della salute e il coinvolgimento politico, pone l’Italia al 76° posto su 153 paesi nel mondo. In ambito europeo, secondo il Gender Equality Index dell’Istituto Europeo per l’Uguaglianza di Genere (EIGE)4 l’Italia si trova al 14° posto, 4.4 punti al di sotto della media europea.
Il progetto Fairy Tales ha utilizzato i parametri dell’EIGE quale punto di partenza nello sviluppo di una riflessione su come affrontare le diseguaglianze di genere nell’ambito delle attività svolte con bambine e bambini, così come approfondito nelle sezioni successive. Troviamo quindi utile fornire un breve quadro di riferimento in relazione alle norme e alle politiche che hanno promosso l’uguaglianza di genere,ma anche ai risultati ottenuti, proprio alla luce di tali dimensioni che, nel corso dell’elaborazione della metodologia di lavoro, abbiamo denominato “fattori determinanti”.
Tali fattori determinanti sono: il lavoro e l’occupazione, la disponibilità di risorse economiche; la partecipazione alle decisioni e la capacità e il potere di influenzare tali processi; la salute intesa come dimensione di benessere globale della persona; la protezione da fenomeni di violenza; l’istruzione e l’educazione intesa anche come formazione professionale e dimensione di crescita personale; il tempo libero a disposizione, prendendo in considerazione il tempo speso nel lavoro domestico e di cura contro il tempo invece impegnato per attività ricreative, culturali e sociali.
E’ importante notare come in Italia lo sviluppo delle politiche di pari opportunità sia stato avviato con notevole ritardo rispetto ad altri paesi europei, principalmente per ragioni storiche e culturali. Nonostante le il percorso costituzionale e le lotte femministe per l’emancipazione, è a partire dagli anni ’90 che, dietro sollecitazione dell'Unione Europea, si è avviata un’evoluzione in materia che ha portato il quadro normativo italiano sostanzialmente in linea con quello degli altri paesi europei.
In ambito lavorativo il rapporto EIGE del 2019 registra rispetto all’Italia un notevole miglioramento del “gender gap”, tuttavia rimaniamo all’ultimo posto tra gli Stati dell’Unione. Negli ultimi settant’anni si è assistito ad una crescita costante dell’occupazione femminile grazie a numerosi interventi legislativi che, a partire dagli anni ‘50, hanno previsto una serie di tutele e garanzie per le madri lavoratrici, tra cui il divieto di licenziamento dall'inizio della gestazione fino al compimento del primo anno di età del bambino, il divieto di adibire le donne incinte al trasporto e al sollevamento di pesi ed altri lavori pericolosi, faticosi o insalubri, il divieto di adibire al lavoro le donne nei tre mesi precedenti il parto e nelle otto settimane successive salvo possibili estensioni. Negli anni ‘60 vengono introdotte alcune norme che, oltre a vietare qualsiasi genere di licenziamento in conseguenza del matrimonio, prevedono altresì alcune misure a sostegno della maternità delle lavoratrici agricole5. Negli anni ‘70 vengono gettate le basi per un’effettiva parità lavorativa con l’introduzione di una serie di disposizioni6 volte a sancire il divieto di discriminazione nell'accesso al lavoro, nella formazione professionale, nelle retribuzioni e nell’attribuzione di qualifiche professionali. Queste ed altre disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità, vengono successivamente raccolte nel 2001 in un testo unico7 che riordina inoltre le norme vigenti sulla salute della lavoratrice, sui congedi di maternità, paternità e parentali, sui riposi e permessi, sull’assistenza ai figli malati, sul lavoro stagionale e temporaneo, a domicilio e domestico, nonché delle norme di cui usufruiscono le lavoratrici autonome e le libere professioniste. I principi delle pari opportunità definiti nella normativa europea sono stati recepiti in Italia con una serie di norme a partire dagli anni 20008.
Oltre all’evoluzione normativa, sono molteplici i fattori che concorrono a spiegare il costante aumento della partecipazione femminile al mercato del lavoro avvenuto negli ultimi quarant’anni9: a partire dai cambiamenti culturali per arrivare all’aumento del livello di istruzione, al passaggio da un’economia essenzialmente basata sull’agricoltura all’industria e al terziario, all’aumento delle donne straniere nei servizi alle famiglie, e negli ultimi anni, anche all’inasprimento dei requisiti per accedere alla pensione.
Tuttavia, ancor oggi in tutti i paesi europei e in Italia in particolare, le donne hanno più difficoltà degli uomini ad accedere a un’occupazione, soprattutto per quanto riguarda posizioni di alto livello, ruoli di potere e di leadership.10 Quello che viene definito il “soffitto di cristallo” è ancora molto presente e difficile da scardinare.
Infatti, per quanto riguarda la partecipazione di tutte le cittadine e i cittadini alla vita politica e sociale, è solo a partire dagli inizi degli anni novanta che si è diffusa una maggiore consapevolezza in questo ambito. Le donne italiane hanno votato per la prima volta nel 1946 e, nonostante la Costituzione della Repubblica italiana sancisca all’articolo 3 il principio dell'uguaglianza di genere formale e sostanziale, bisogna attendere il 1956 perché le donne vengano ammesse a determinate carriere giurisdizionali11 e questo in virtù di una presunta predisposizione anatomico-fisiologica che le renderebbe incapaci di giudicare poiché vittime di isteria e irrazionalità.12 Solo nel 2003 con legge di modifica dell’articolo 51 della Costituzione in materia di accesso agli uffici pubblici e alle cariche elettive che si sancisce espressamente la promozione, con appositi provvedimenti, delle pari opportunità tra donne e uomini.
In relazione alla dimensione del tempo libero a disposizione, ancora inadeguati appaiono gli strumenti volti a superare la squilibrata ripartizione fra i sessi delle incombenze familiari, in modo da arginarne gli effetti negativi sui percorsi di lavoro delle donne. Gli ultimi dati italiani13 disponibili confermano quanto riportato a livello internazionale in merito. In particolare, nel nostro paese le donne occupate svolgono 8 ore di lavoro retribuito a settimana in meno rispetto agli uomini, ma 16 ore di lavoro non retribuito in più. Il risultato è che il carico di lavoro settimanale, retribuito e non, delle donne occupate in Italia ammonta a oltre 57 ore mentre quello degli uomini è pari a meno di 5014.
Riguardo alla disponibilità di risorse economiche, dai dati EIGE del 2019 emerge che le donne guadagnano in media il 18% in meno degli uomini; si rileva inoltre ancora un minore accesso alle figure apicali, maggiore diffusione di lavori part-time e carriere discontinue15. Sono questi alcuni dei fattori determinanti dei differenziali di genere nei redditi percepiti.
Nel campo dell’educazione, è avvenuto un “sorpasso di genere”: le donne studiano di più, sono la maggioranza tra le laureate e statisticamente hanno i voti migliori16. Il tasso di abbandono scolastico precoce, in Italia ma anche nella quasi totalità dei paesi europei, è più basso tra le donne. Tuttavia, alcune ricerche hanno messo in evidenza il persistere a scuola di un “curriculum nascosto”, l’esistenza cioè di una segregazione formativa17 che tende ad orientare le studentesse verso gli ambiti considerati tradizionalmente di pertinenza femminile quali l’educazione e la cura e gli studenti al contrario verso indirizzi scientifico-tecnologici, riconfermando quindi alcune aspettative standardizzate. Aspettative riconfermate anche all’interno dei testi scolastici utilizzati nella scuola primaria che riportano sia una predominanza di figure maschili sia una visione stereotipata delle professionalità attribuite a maschi e femmine così come un linguaggio che utilizza un “maschile non marcato”18. Per superare queste criticità dovrebbe essere introdotta in maniera sistematica l’educazione di genere e sessuale in tutti i gradi scolastici, tutt’oggi assente nonostante le diverse convenzioni firmate dall’Italia che la renderebbero vincolante, in particolare la CEDAW19 e i suoi Protocolli Opzionali e la Convenzione di Istanbul20. Nel corso degli ultimi anni ci sono stati molti tentativi per introdurre l’educazione di genere in ambito scolastico, ma finora sono tutte giacenti o non approvate, anche per via di una campagna di opinione anti-gender che è stata particolarmente agguerrita anche a livello politico21 sostenuta da movimenti anti-democratici di dubbia origine22.
Nel 2015, a seguito della riforma della scuola, il Ministero dell’Istruzione ha elaborato un “Piano Nazionale per l’educazione al rispetto”23 volto a promuovere all’interno delle istituzioni scolastiche una cultura del rispetto, che valorizzi le differenze e contrasti l’omofobia e la violenza di genere. Nonostante le numerose esperienze educative che affrontano con i bambini questi aspetti, ad oggi tuttavia non si rileva un’attenzione adeguata e una conformità con la normativa di riferimento.
In relazione alla salute, l’EIGE rileva un punteggio alto per l’Italia, a differenza di tutti gli altri domini esaminati. Tuttavia, come rilevato anche durante i nostri corsi da alcuni partecipanti, si tratta di un’analisi che non considera, ad esempio, gli aspetti connessi alla salute riproduttiva che implicherebbero un’educazione sessuale fin dal periodo scolastico.
Inoltre, rispetto alla protezione da fenomeni di violenza, strettamente connesso alla dimensione della salute, negli ultimi anni ci sono stati sviluppi concreti dal punto di vista normativo; lo stesso purtroppo non è avvenuto per la messa in campo di azioni necessarie a garantire la realizzazione concreta di tali norme. Nei fatti la violenza di genere non è in diminuzione in Italia: nel 2018 sono stati rilevati 142 femminicidi (+ 0,7% sull’anno precedente), di cui una gran parte consumati in famiglia24.
La violenza contro donne e le persone minorenni per anni è stata considerata normale, e comunque accettata culturalmente e giuridicamente. Infatti solo 1956 viene eliminato lo jus corrigendi, cioè il diritto dell’uomo di “educare e correggere”, anche con l’uso della forza, la moglie e i figli. Nel 1981 vi è l’abolizione del cosiddetto delitto d’onore, che prevedeva attenuanti per i mariti che, in uno stato di ira, uccidevano la moglie, la figlia o la sorella se coinvolte in una relazione carnale “illegittima”. Solo recentemente l’Italia ha introdotto norme rilevanti a tutela della persona: in particolare stupro e atti di libidine diventano una nuova e unica fattispecie di reato, mentre la violenza sessuale diviene delitto contro la libertà personale e non più contro la moralità pubblica e il buon costume25. Nonostante l’Italia abbia ratificato la CEDAW e la Convenzione di Istanbul, strumenti che impongono uno specifico obbligo di rimozione degli ostacoli esistenti per l’effettivo godimento da parte delle donne dei loro diritti fondamentali, e nonostante i diversi interventi normativi adottati, il Comitato CEDAW ha comunque condannato il nostro Paese in materia di femminicidio affermando che in Italia persistono “attitudini socio-culturali che condonano la violenza domestica”26. Si tratta quindi di un problema culturale che da una parte legittima la discriminazione basata sul genere, anche tra i soggetti che dovrebbero agire per cambiarla, e dall’altra impedisce di adottare misure efficaci a tutela dei diritti delle donne e della loro autodeterminazione.
Il recente rapporto del GREVIO27 rileva tuttavia ancora una serie di criticità relative ai finanziamenti allocati, al coordinamento inter-agenzia nella risposta alle vittime, alla frammentazione dei servizi territoriali e sottolinea una preoccupante tendenza a reinterpretare e riorientare la nozione di parità di genere in termini di politiche per la famiglia e la maternità.
Il permanere di una cultura sessista e misogina della società italiana a tutti i livelli costituisce il principale ostacolo ad un processo virtuoso verso l’uguaglianza di genere. Nei fatti persiste ancora una struttura patriarcale della famiglia, quale ambito opaco da proteggere da ingerenze esterne e una suddivisione dei ruoli improntata a una pretesa ‘naturalità’ dei ruoli che relegano il lavoro di riproduzione sociale alle sole figure ‘femminili’. E queste concezioni hanno dato luogo a movimenti anti-gender di varia e dubbia natura, che tendono a descrivere la donna unicamente nella rappresentazione di sposa e madre e a considerare l’autonomia e l’emancipazione femminile una minaccia della famiglia tradizionale. Dall’altra parte, paradossalmente, la comunicazione di alcuni mezzi di comunicazione di massa, soprattutto televisivi, svaluta e distorce l’immagine femminile, rappresentando le donne in modo da ridurle a corpi con caratteristiche sessuali e seducenti e sempre in ruoli predeterminati ed eterodeterminati oltre che subalterni28.
L’ordinamento civile fino agli anni ‘70 è rimasto fortemente ancorato ad un’idea di famiglia chiuso, centrato sulla figura autoritaria del padre di famiglia a cui spettano poteri di comando e correzione nei confronti della moglie e dei figli, soggetti ad una potestà sostanzialmente incontrollata. Con la riforma del 1975 del diritto di famiglia si è aperta la strada ad una serie di innovazioni in questo ambito.
Grazie alla spinta della giurisprudenza europea anche l’istituto del matrimonio ha cambiato volto. La legge sulle Unioni Civili29 è una riforma storica per quanto riguarda la tutela di diritti civili fondamentali, ma anche per la sua rilevanza culturale che porta ad un passaggio dal concetto di “famiglia” a quello di “famiglie”: diverse, ma oggi tutte meritevoli di tutela oggi all’interno del nostro ordinamento.
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1. Costituzione della Repubblica Italiana, Art. 3.
2. Decreto Legislativo 11 aprile 2006, n. 198, ”Codice delle pari opportunità tra uomo e donna, a norma dell'articolo 6 della legge 28 novembre 2005, n. 246” (DL 198/2006).
3. <http://www3.weforum.org/docs/WEF_GGGR_2020.pdf> ultimo accesso 30 Ottobre 2020.
4. <https://eige.europa.eu/publications/gender-equality-index-2019-italy> ultimo accesso 30 Ottobre 2020.
5. Legge 7/1963, Divieto di licenziamento delle lavoratrici per causa di matrimonio e modifiche alla legge 26 agosto 1950, n. 860: "Tutela fisica ed economica delle lavoratrici madri”.
6. Legge 903/1977, “Parità di trattamento tra uomini e donne in materia di lavoro”.
7. Testo unico n. 151/2001 “Testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità”.
8. Si vedano in particolare il D.lgs. 215/2003 Attuazione della direttiva 2000/43/CE per la parità di trattamento tra le persone indipendentemente dalla razza e dall'origine etnica., il D.lgs. 216/2003 Attuazione della direttiva 2000/78/CE per la parità' di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro. e la L. 67/2006 "Misure per la tutela giudiziaria delle persone con disabilità vittime di discriminazioni”.
9. Audizione del Presidente dell’Istituto nazionale di statistica Giorgio Alleva Commissione "Affari costituzionali" della Camera dei Deputati Roma, 25 ottobre2017 <https://www4.istat.it/it/files/2017/10/A-Audizione-parit%C3%A0-di-genere-25-ottobre_definitivo.pdf?title=Parit%C3%A0+tra+donne+e+uomini+-+26%2Fott%2F2017+-+Testo+integrale.pdf> ultimo accesso 30 Ottobre 2020.
10. <https://www.openpolis.it/in-think-tank-e-fondazioni-le-donne-sono-poche-e-con-posizioni-marginali/?utm_source=Newsletter&utm_medium=email&utm_term=MailUp&utm_content=MailUp&utm_campaign=Newsletter> ultimo accesso 30 Ottobre 2020.
11. È infatti solo con la legge 27 dicembre 1956, n. 1441 “Partecipazione delle donne all'amministrazione della giustizia nelle Corti di assise e nei Tribunali per i minorenni” che anche alle donne viene consentito accedere alla magistratura, «sia pure limitatamente alle funzioni di giudici popolari (ordinari o supplenti) e di componenti dei Tribunali dei minorenni».
12. Simona Zannoni, L’evoluzione dell’immagine della donna nell’italia degli anni Cinquanta: “Vie Nuove” e “Famiglia Cristiana”, 2018.
13. Istat, I Tempi della Vita Quotidiana. Lavoro, Conciliazione, Parità di Genere e Benessere Soggettivo, 2019 <https://www.istat.it/it/files//2019/05/ebook-I-tempi-della-vita-quotidiana.pdf> ultimo accesso 30 Ottobre 2020.
14. <https://www.ingenere.it/articoli/liberiamo-il-tempo-delle-donne> ultimo accesso 30 Ottobre 2020.
15. <https://www.istat.it/donne-uomini/bloc-2d.html?lang=it> ultimo accesso 30 Ottobre 2020.
16. <https://www.istat.it/donne-uomini/bloc-2a.html?lang=it> ma anche Euridice <https://www.google.com/url?sa=t&rct=j&q=&esrc=s&source=web&cd=&ved=2ahUKEwjWucOditHpAhXF-aQKHaqxCosQFjABegQIARAB&url=http%3A%2F%2Feurydice.indire.it%2Fwp-content%2Fuploads%2F2017%2F06%2FGender_IT.pdf&usg=AOvVaw1BLVNnlqXxNsJsdJARdivF> ultimo accesso 30 Ottobre 2020.
17. Elisabetta Musi, A scuola di pari opportunità. il sistema scolastico: un circuito decisivo –ma trascurato– per educare al rispetto dell’identità e della differenza di genere, 2015.
18. Dove il genere maschile è utilizzato per indicare l’universalità delle persone, dando automaticamente più centralità al genere. Si veda ad esempio Emanuela Abbatecola e Luisa Stagi, Pink is the new black, Stereotipi di genere nella scuola dell’infanzia, Rosenberg & Sellier, 2017.
19. Convenzione sull’eliminazione di ogni forma di discriminazione della donna (CEDAW) del 1979 ratificata dall’Italia nel 1985.
20. Convenzione del Consiglio d'Europa sulla prevenzione e la lotta alla violenza contro le donne e la violenza domestica (Convenzione di Istanbul) ratificata e convertita in legge dall’Italia nel 2013.
21. si veda Michela Marzano, Papà, mamma e gender, Novara: Utet, 2015.
22. Si veda articolo di G. Siviero, Il Post: <https://www.ilpost.it/giuliasiviero/2016/02/22/i-movimenti-no-gender-spiegati-bene/> ultimo accesso 30 Ottobre 2020.
23. <https://www.miur.gov.it/documents/20182/0/Piano+Nazionale+ER+4.pdf/7179ab45-5a5c-4d1a-b048-5d0b6cda4f5c?version=1.0 / https://www.noisiamopari.it/site/it/home-page/> ultimo accesso 30 Ottobre 2020.
24. La Banca Dati EURES, Rapporto “Femminicidio e violenza di genere in Italia”, 2019 <https://www.eures.it/sintesi-femminicidio-e-violenza-di-genere-in-italia/> ultimo accesso 30 Ottobre 2020.
25. Solo nel 1996 con la Legge LEGGE 15 febbraio 1996 n. 66 “Norme contro la violenza sessuale”.
26. Osservazioni conclusive del Comitato CEDAW al Governo Italiano 26/7/2011.
27. GREVIO è un comitato indipendente di esperti responsabile per il monitoraggio dell’attuazione della Convenzione di Isanbul da parte degli Stati parte del Consiglio d’Europa. Il rapporto è disponibile al seguente link <https://rm.coe.int/grevio-report-italy-first-baseline-evaluation/168099724e> ultimo accesso 30 Ottobre 2020.
28. Lorella Zanardo, Documentario “Il corpo delle donne” (The women’s body) <http://www.ilcorpodelledonne.net/documentario/> ultimo accesso 30 Ottobre 2020.
29. Legge 20 maggio 2016, n. 76, Regolamentazione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso e disciplina delle convivenze.
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